giovedì 7 febbraio 2013

"Dracula" di Bram Stoker: un mix perfetto fra storia, tradizione popolare e letteratura

Dopo quasi  30 anni di "oscura passione" per l'argomento, ecco un mio mini-saggio sul "Dracula" di Bram Stoker, riesumato e aggiornato.




Quanto il Dracula di Stoker “assomiglia” alla figura storica di Vlad Tepes e quanto è coerente con la tradizione folclorica dell’epoca nella quale visse il voivoda

Innanzi tutto, vorrei partire da una prima distinzione: quella fra vampiro letterario e vampiro folclorico. 
Laddove in letteratura, dal Lord Ruthven de “Il vampiro” all’Edward di Twilight, abbiamo la figura del gentiluomo, dandy aristocratico o comunque, per riferirsi appunto a personaggi contemporanei, prototipo del “bello e dannato”, e schiere di fanciulle avvenenti dal fascino perverso (ad esempio Geraldine di Coleridge, Carmilla di Le Fanu, fino a tutte le recenti “sorelle di sangue”), i vampiri della tradizione popolare – e qui ci riferiamo in particolare al folclore greco e balcanico di epoca bizantina e post-bizantina, cioè il periodo nel quale visse Vlad Tepes – sono cadaveri ambulanti più simili agli zombie (se vogliamo un riferimento cinematografico), spesso gonfi come palloni e dalla faccia rubizza.
I vampiri delle leggende, insomma, non sprizzano fascino da tutti i pori, ma – molto più banalmente, visto che sono cadaveri, per quanto piuttosto vivaci – liquami orribili e servono, in particolare al clero, come memento ai fedeli per ciò che può succedere al cristiano che muoia scomunicato o comunque non in grazia di Dio.
Altra cosa interessante: i vampiri della tradizione popolare greca e balcanica non sempre bevono sangue. Quelle sono piuttosto alcune varietà di streghe, ma fra i revenants i casi di ematofagia sono rarissimi. I vrykolakes o i tympanaioi, se proprio devono bere qualcosa, spesso preferiscono il latte, motivo per il quale sfiniscono il bestiame mentre con i viventi, invece di attaccarli alla giugulare,  attaccano briga, nel senso che li prendono a pedate o a pugni, oppure, semplicemente, li spaventano.
Pochi sono i riferimenti a morsi “infettivi” - che nella letteratura, invece, sono per altro l’unico sistema per diventare vampiri - perché nella tradizione popolare il vampiro era considerato sì, causa di epidemie, ma non di epidemie vampiriche, quanto piuttosto di morbi come la peste, eccetera.[1]

Un vampiro letterario come il Dracula di Stoker, perciò, quando presenta agganci folcloristici relativi al periodo nel quale visse Vlad Tepes, non lo fa tanto riguardo alle trasformazioni del Conte in lupo o pipistrello che, nelle leggende, non erano prerogative del vampiro, quanto piuttosto della strega, del negromante e di altri esseri demoniaci, quindi di un personaggio afferente al mondo delle tenebre ma non classificabile fra i revenant, quanto piuttosto riguardo alla questione dell’origine del vampiro. Come abbiamo detto, le leggende riportano che un cadavere può rianimarsi per due motivi:
a)      perché in vita la persona era stata cattiva, violenta e sanguinaria ed era morta senza potersi redimere, diventando così facile preda di qualche demone;
b)      perché in vita la persona era stata scomunicata, tanto è vero che in alcune zone della Grecia e dei Balcani, “eretico” era sinonimo di vampiro.

Pare proprio che il nostro Vlad rientrasse almeno nel primo dei due casi citati sopra.
Il fatto è però, che, seguendo la tradizione, una volta morto, il cadavere di Vlad non sarebbe mai potuto passare per quello di un dandy nemmeno al più sprovveduto degli occidentali e forse ci saremmo trovati di fronte a un Conte zombie dalla pancia gonfia.

Cosa significa questo? Significa che Stoker, come tutti gli scrittori, ha “pescato” da più fonti e ha avuto l’idea geniale di unire alla materia storica e folclorica quella già letteraria e molto più “glamour”, presente nel personaggio di Lord Ruthven, ovvero il protagonista della novella “Il vampiro” (1819) di John Polidori e del “sequel” di Charles Nodier, “Lord Ruthven il Vampiro” (1820).

Il Vampiro è un invasore: spunti di riflessione per una lettura “politica” di “Dracula” di Bram Stoker

Se teniamo conto che Lord Ruthven era ispirato a Byron, bello, giovane, libertino e tombeur de femmes, capiamo allora perché Mina Harker (come le fanciulle sedotte e abbandonate da Ruthven) non sia riuscita a resistere al fascino “oscuro” del Conte vampiro, nonostante (a differenza di quanto riportato nel film di Coppola) non se ne sia mai innamorata e di primo acchito non le fosse sembrato particolarmente avvenente.
Già, perché la prima volta che Mina vede Dracula, lo descrive così: “(…) un uomo alto, magro, dal naso a becco, baffi neri e barba a punta (…) Non aveva certo un volto onesto: il suo era un viso duro, crudele, sensuale, e quei grandi denti candidi, che tanto più bianchi apparivano perché così rosse erano le labbra, erano aguzzi come quelli di un animale.”[1]
In effetti, il resoconto sull’aspetto fisico del Vampiro ci fa visualizzare subito il famoso ritratto di Vlad, nel quale il naso adunco, lo sguardo duro e la barbetta a punta sono tratti che balzano subito all’occhio.
Ma allora, Mina si lascia sedurre da un uomo dall’aspetto quasi ferino oppure viene “presa con la forza”? Nella scena descritta da Seward[2] e nelle successive lamentazioni della vittima a Van Helsing, ci sembra di dover propendere per la seconda ipotesi, ma sta di fatto che una parte di lei, quella in contatto diretto, telepatico, con Dracula, collabora attivamente e accetta le “nozze di sangue” proposte dal Conte.
Dobbiamo supporre, dunque, che la visione riportata dai due uomini sia parziale, o quanto meno, non possa essere diversa e che Mina stessa, interpellata in merito, vi si conformi per non rischiare di subire lo stesso trattamento che essi hanno riservato a Lucy?
Immaginiamo che uno Straniero dai tratti somatici molto diversi arrivi in un certo Paese e cerchi di sedurne le donne, le stesse donne che, rappresentando una “proprietà” hanno garantito “continuità e purezza” della razza… immaginiamo che queste donne, dapprima refrattarie e impaurite, alla fine cedano, catturate dalle lusinghe che lo Straniero può offrire, cioè giovinezza imperitura, assenza di coercizioni moralistiche, possibilità di vivere da “protagoniste” e non semplici “assistenti” al fianco di un uomo. La forza di seduzione e – mi si passi il termine – “penetrazione” di questo Straniero nell’assetto sociale sarebbe enorme e agli uomini, per mantenere lo status quo, non resterebbe che tentare di annientarlo.
Se questo può essere uno dei molteplici piani di lettura che “Dracula” offre, allora l’opinione dei personaggi di Stoker è piuttosto chiara e, per certi versi, incredibilmente attuale: la “contaminazione” (culturale e del sangue) - oggi in maniera molto più politically correct diremmo il melting pot - per quanto possibile va evitata, anche se il nuovo si presenta come soggetto economicamente e culturalmente interessante (il Conte è ricco e uomo di cultura).
Ma come è possibile farlo? La potenza dell’invasore straniero è sterminata…
Ecco che, allora, Stoker rimette in equilibrio le forze opponendo a Dracula un altro straniero, Van Helsing, che funge da alter ego e – seppur alla luce di una speciale “metafisica scientifica”, perfettamente in linea con il doppio binario del pensiero dell’epoca: non solo scienza, ma anche spiritismo e misticismo  – darà all’oscuro signore… pane per i suoi denti.[3]

Il Vampiro è un sovversivo: spunti di riflessione per una lettura “psicologica” del “Dracula” di Bram Stoker

Ma c’è di più. Stoker amplifica – se così si può dire – i poteri di Dracula rispetto, per esempio, a quelli di Ruthven.
Dracula, infatti, come accennato sopra, incarna un enorme potere sovversivo: oltre al fatto che di per sé il vampiro è in grado di sovvertire l’ordine del cosmo facendo della morte una non-morte, il Conte è anche un aristocratico che sfida apertamente la società borghese e la sfida proprio su un terreno che essa crede di controllare in modo scientifico: la sfera delle emozioni e della sessualità.
Dracula, agli occhi del medico e dello scienziato positivista, tanto più a quelli dell’uomo d’azione d’Oltreoceano, è nulla più che una leggenda oscura, un incubo riemerso dalle profondità del tempo e come tale va trattato, ovvero opponendogli i lumi di una sana razionalità.
La sorpresa e il senso di impotenza perciò sono enormi quando, per esempio, il “male” che si è impossessato di Lucy  tiene tutti in scacco e la follia irrompe nella quotidianità travolgendo e sovvertendo ogni regola. La gentile fanciulla di prima, amante della vita, si è trasformata in un mostro assetato di sangue, che rapisce bambini e non esiterebbe a sedurre e uccidere ciascuno dei suoi pretendenti, fidanzato compreso.
Possiamo allora vedere in Arthur il giovanotto di buonissima famiglia che, dopo aver perso la testa per una ragazza dai costumi troppo “facili”, alla fine ritorna in sé (uccidendo quell’immagine di donna fatale che l’avrebbe irrimediabilmente traviato e spinto ai margini) e riprende il proprio posto nella società?
La scena dell’annientamento di Lucy ha, a tratti, il sapore di un rito di esorcismo nei confronti di un demone femminile, come potrebbero essere la Lilith giudaica o la stessa dea Khali.
È lui, il promesso sposo, a dover piantare il paletto nel cuore dell’amata-vampiro e lo fa guidato dal sacerdote (Van Helsing) e circondato dagli altri uomini del clan.
A dir la verità, però, Lucy non è la prima vittima di Dracula. La prima vittima è Jonathan Harker, che soccombe al Conte in modo piuttosto ambiguo.  
Dracula, infatti, lo reclama per sé e lo strappa alle grinfie delle sue concubine vampire; è allora che Harker capisce di non poterlo combattere: il Conte è troppo forte e l’unico modo per salvarsi è fuggire.
Da cosa sta fuggendo Harker? Forse dalla presa di coscienza che davanti a sé ha un matrimonio che “crede” di desiderare, quando invece la sua natura lo porterebbe a fare esperienze di tipo ben diverso?
E Mina Harker, dopo aver conosciuto Dracula, non è forse dibattuta fra lo scegliere una vita tranquilla, da donna sposata e un futuro sicuramente più avventuroso e passionale?

Non si può interpretare “a posteriori”, d’accordo, ma teniamo conto che quando esce il romanzo di Stoker, gli studi sull’isteria e l’ipnosi sono già ben che avviati e la rivoluzione di Freud è alle porte. Le lacerazioni dell’anima, l’irrompere delle forze dell’inconscio e la progressiva diffusione del morbo depressivo (il male oscuro, prerogativa della classe borghese) del resto, presentano sintomi che assomigliano in maniera inquietante al deliquio nel quale Dracula lascia le proprie vittime.

Il Vampiro è un seduttore: spunti di riflessione per una lettura “estetica” del Dracula di Bram Stoker

È il cadavere di un uomo dall’aspetto ferino, è spietato, crudele e incute un terrore folle in chiunque lo incontri… ma allora perché piace così tanto? Cos’è che lega al Vampiro in una intensissima relazione di attrazione-repulsione non solo i personaggi del romanzo di Stoker, ma sterminate legioni di lettori (e scrittori)?

Per iniziare, possono risultare illuminanti le considerazioni di Gianni Pilo, nella prefazione a “Storie di Vampiri”[1]

“Attraverso la macabra e grottesca figura onirica del vampiro l'uomo ha dato forma e consistenza ad un suo prometeico sogno di immortalità, che la morte continuamente dissolve. L'immagine di un essere notturno resuscitato dalla tomba che solitario si aggira tra il mondo addormentato dei vivi per suggerne il sangue, affascina e insieme terrorizza. È il fascino e il terrore che proviene dalle tenebre del demoniaco verso il quale l'uomo, in rivolta contro la propria morte, si rivolge per proiettare fuori di sé i mostri immortali che placano il suo desiderio di vivere al di là del consentito.”

Ma non solo, come ricorda anche Iris Gavazzi[2] nel suo saggio su quella che viene definita una vera e propria categoria, ovvero il “vampiresco”, ciò su cui si erge la figura del vampiro è, innanzi tutto, la paura, leva estetica principe del romanzo gotico, poiché contribuisce a suscitare quel sentimento del sublime che, dal Settecento in avanti, diventa una delle questioni fondamentali della filosofia estetica.
Burke[3] e, successivamente, Kant[4] ne parlano come dell’ “orrendo che affascina”, di tutto ciò che produce la più forte sensazione che l’animo umano sia capace di provare ma che, a differenza del bello, il quale può essere semplicemente (e asetticamente) contemplato, scatena in noi la coscienza di essere a contatto con una potenza (quella degli elementi naturali, ad esempio) e di esserne inevitabilmente sovrastati.

In secondo luogo, abbiamo il brutto. Nel Settecento e nell’Ottocento l’arte – e quindi anche la letteratura – inizia ad accogliere in maniera esplicita la bruttezza e la considera importante tanto quanto la bellezza. Filosofi come Rosenkranz[5] (allievo di Hegel) – ma, andando a ritroso, citerei anche De Sade – comprendono perfettamente che l’arte non può più limitarsi a rappresentare il bello, ma anzi, vista la tendenza a raggiungere masse sempre più estese, deve scendere nei “bassifondi”, come direbbe Baudelaire, per esplorare il lato brutto e perfino mostruoso dell’esistere.

In conclusione, dunque, il Vampiro piace perché si trova al confine (e non appartiene completamente) a nessuna delle coppie di opposti che spezzano la nostra identità:  bello e brutto; buono e cattivo; vero e falso; vita e morte in lui convivono con mirabile equilibrio pur non essendo egli un dio ma una strana evoluzione dell’essere umano. E, in un mondo nel quale gli dei, gli eroi e i super-eroi, sono quasi tutti definitivamente morti, non è cosa da poco.


[1] Storie di vampiri, a cura di G.Pilo e S.Fusco, Newton Compton, 1994
[2] Il vampiresco, percorsi nel brutto, Iris Gavazzi, Mimesis, 2012 e, della stessa autrice, l’articolo online in Itinera: http://www.filosofia.unimi.it/itinera/mat/saggi/?ssectitle=Saggi&authorid=gavazzii&docid=vampiresco&format=html
[3] Cfr. Indagine sull'origine delle nostre idee di sublime e di bello, E. Burke, 1757
[4] Cfr. Critica del Giudizio, I. Kant, 1790, trad. it. di A. Gargiulo, Laterza, 1974
[5] Estetica del brutto, K. Rosenkranz, 1853

[1] Cfr. “Prima di Dracula. Archeologia del vampiro”, T. Braccini, il Mulino, 2011.
[1] Diario di Mina Harker, 22 settembre in Dracula, Bram Stoker, trad. it. Di F. Saba Sardi, Mondadori, 1979
[2] Cfr. op. cit. - Diario del dottor Seward, 3 ottobre.
[3] Cfr. Il corpo del vampiro. Storia e mito in Dracula, Antonio De Lisa (in http://storiografia.me/2012/11/15/antonio-de-lisa-storia-e-mito-in-dracula/)