giovedì 28 gennaio 2010
Nu Shu: il linguaggio segreto delle donne
Riporto da liberamentemagazine.org
di Elena Refraschini
Il fenomeno chiamato “Nu Shu” (“scrittura delle donne”) pare essersi sviluppato durante il XVII secolo nella provincia cinese dello Hunan, la quale, precedentemente abitata dalla minoranza Yao, viene conquistata dai cinesi che vi impongono la loro cultura confuciana patriarcale. Le donne Yao, abituate alla loro indipendenza, decisero di creare una scrittura per comunicare tra di loro all’insaputa degli uomini. Questo nuovo alfabeto recava, a differenza degli ideogrammi cinesi prevalentemente squadrati, tratti curvilinei e sinuosi, tanto da venir scambiati per disegni (tanto più che le donne solevano ricamarli sui vestiti, senza che gli uomini potessero decifrare nulla). La nuova scrittura veniva usata prevalentemente per donare conforto ad una “consorella” nel momento del bisogno, come per esempio dopo un matrimonio combinato. Sono noti, a questo proposito, i così chiamati “Libri del terzo giorno”: testi inviati alle spose nel loro terzo giorno di matrimonio per incoraggiarle a resistere alle fatiche della vita coniugale e domestica – in quanto per le donne del tempo, il matrimonio significava un inevitabile passaggio dalla sottomissione al padre alla sottomissione al marito. Più in generale, però, questa scrittura rappresentava l’espressione di un non ignorabile desiderio di comunicazione e quindi di vita da parte delle donne sottomesse, le quali furono così capaci di stabilire rapporti esclusivi e privilegiati tra di loro.
Il linguaggio, formato da 7.000 caratteri e tramandato di madre in figlia, veniva cantato durante le riunioni delle donne in cucina o durante il ricamo: esprimevano poeticamente ma con un linguaggio quotidiano le emozioni femminili e le difficoltà del dover accettare il dominio maschile (e l’obbligo del silenzio) giorno dopo giorno. Rimasta pressoché sconosciuta fino agli anni Trenta del Novecento, solo negli anni Cinquanta la “scrittura delle donne” catturò l’attenzione dei vertici cinesi: creduto un linguaggio usato per lo spionaggio internazionale ai danni della stessa Cina, i servizi segreti iniziarono le indagini e chiamarono i maggiori esperti di linguistica e di codici criptati, ma senza successo. Soltanto negli anni Ottanta questa scrittura fu riconosciuta come Nu Shu: la scrittura delle donne. Per chi vuole informarsi maggiormente, è possibile visionare un documentario della regista canadese Yang Yueqing dal titolo “Nu Shu: a hidden language of women in China” che ottenne molti riconoscimenti tra cui il premio del Festival delle Donne di Torino; vi si racconta la vita e le mille difficoltà di alcune di queste donne, le quali cercano con ogni sforzo di non lasciar perire quel tesoro che così in poche conservano – quel grande e solenne simbolo dell’indipendenza interiore femminile.
lunedì 25 gennaio 2010
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mercoledì 13 gennaio 2010
L'imbalsamatrice di Mary B. Tolusso
N. è una giovane donna, sensuale e sfrontata, che ha ben poco in comune con le sue coetanee. Di giorno lavora in un laboratorio asettico in mezzo ai cadaveri: li rende belli per il loro ultimo saluto ai vivi, mentre la notte reclama la vita e va in cerca di corpi che esaudiscano la sua energica sensualità, il suo desiderio di trasgressione, in una spasmodica e ossessiva fuga dal perbenismo e dalla normalità degna del Marchese de Sade. Sullo sfondo una sonnacchiosa Trieste che di notte si sveglia e, ancora più bella e misteriosa, assiste indulgente alle scorribande erotiche di N. in cui il sesso è al contempo liberazione e ossessione. Anche il linguaggio sembra rispecchiare gli stati d’animo della protagonista: acceso, vibrante, spesso sopra le righe ma vivo e mai strumento sterile alle dipendenze della trama. In bilico tra il rapporto quasi monacale con il fidanzato e il desiderio insaziabile di corpi femminili, N. si rivela nella sua complessità: in apparenza cinica ed egoista, cela dietro il sarcasmo e la nera ironia un’urgenza di autenticità e di verità nei rapporti con gli altri, il bisogno di trovare se stessa e la ricerca di un significato che sembra sfuggire alla sua esistenza e che ogni notte insegue negli odori e negli umori della carnalità.
martedì 12 gennaio 2010
“I am not what I am”
WILLIAM SHAKESPEARE
OTELLO
ATTO PRIMO
SCENA I
Venezia, una strada. Notte.
Entrano JAGO e RODERIGO
RODERIGO
Non dirmelo. L’ho assai per male, Jago,
che tu, ch’hai sempre avuto la mia borsa
a tua disposizione, come tua,
sapevi questo, e me l’hai sottaciuto.
JAGO
Sangue di Cristo, ascoltami, ti prego,
Roderigo: se avessi sol sognato
che avesse mai a succedere tanto,
avresti pur ragione di schifarmi.
RODERIGO
M’hai detto sempre che l’avevi in odio.
JAGO
E se non è così, sputami in faccia!
Tre grossi calibri della città
si sono scomodati di persona
per andare umilmente a supplicarlo,
e facendogli tanto di cappello,
che mi facesse suo luogotenente;
e io so quanto valgo, in fede d’uomo,
e che non merito meno di tanto.
Ma, compreso com’è dalla sua boria
e da chissà quali secondi fini,
egli sfugge abilmente alla richiesta
con ampollosi giri di parole
imbottiti di termini guerreschi;
e insomma, rende non luogo a procedere
le suppliche dei miei patrocinanti.
“Il mio secondo - dice - l’ho già scelto”
E chi è costui?... Un insigne contabile,
tale Michele Cassio, fiorentino,
uno che si baratterebbe l’anima
per correr dietro ad una bella moglie;
uno che non ha mai schierato in campo
una manciata d’uomini,
e sa studiare un piano di battaglia
non più di quanto sappia una zitella.
Conosce le teorie scritte nei libri
su cui sa dissertare come lui
un qualunque togato consigliere:
tutte parole, ma nessuna pratica.
È tutta qui la sua perizia bellica;
e intanto, caro mio, è lui il prescelto.
Ed io, che il Moro ha visto coi suoi occhi
alla prova dell’armi a Rodi, a Cipro,
e in altre terre cristiane e pagane,
debbo star sottovento ed in bonaccia
agli ordini d’un vile conta-soldi,
d’un libro mastro del dare e l’avere.
Lui senz’arte né parte,
dev’esser fatto suo luogotenente,
e il sottoscritto, che Dio ci abbia in gloria,
resta l’alfiere di Sua Negreria.
RODERIGO
Il boia che gli metta il cappio al collo
avrei voluto essere, piuttosto!
JAGO
Mah, che voi farci, ormai non c’è rimedio.
È la maledizione del servizio:
la promozione si fa per scartoffie,
per simpatia, non già, come una volta,
per un criterio di gradualità
onde il secondo succedeva al primo.
Perciò, mio caro, giudica da te
se esista un ragionevole motivo
ch’io mi possa sentir legato al Moro.
RODERIGO
Se fossi in te, non lo seguirei più.
JAGO
Ah, se mi curo ancora di seguirlo,
puoi star sicuro, è solo per rivalsa.
Tutti non si può essere padroni;
ma non è manco detto che i padroni
si debbano seguire fedelmente.
Li avrai visti anche tu certi bricconi
leccapiedi dalle ginocchia a uncino,
fanatici di fare ognora mostra
del lor cerimonioso servilismo,
che vivon consumando tutto il tempo
a fare gli asini dei lor padroni
per una brancatella di foraggio,
e, appena vecchi, sono licenziati.
Questi onesti babbei, per conto mio,
si meritano solo le frustate.
Ce n’è però di tutta un’altra tacca,
che, azzimati e attillati,
il volto sempre atteggiato all’ossequio,
son bravissimi a farsi i fatti loro;
essi, sbattendo in faccia ai lor padroni
solo la mostra dei loro servigi,
si fanno prosperi alle loro spalle;
e, quando si son bene impannucciati,
badano solo ad ossequiar se stessi.
Quelli sì che son gente di carattere;
ed io mi sento d’essere dei loro:
ché, com’è vero che sei Roderigo,
così è sicuro che s’io fossi il Moro,
non vorrei esser Jago.
A seguir lui, seguo solo me stesso;
e lo faccio - mi sia giudice il Cielo -
non certo per amore o per dovere,
anche se all’apparenza sia così,
ma per mio tornaconto personale;
ché se l’esterno mio comportamento
dovesse rivelar gli interni moti
e la vera natura del mio animo,
non passerebbe molto, t’assicuro,
che porterei cucito sulla manica
il cuore, a farmelo beccar dai corvi.
Io non son dentro quel che sembro fuori.
OTELLO
ATTO PRIMO
SCENA I
Venezia, una strada. Notte.
Entrano JAGO e RODERIGO
RODERIGO
Non dirmelo. L’ho assai per male, Jago,
che tu, ch’hai sempre avuto la mia borsa
a tua disposizione, come tua,
sapevi questo, e me l’hai sottaciuto.
JAGO
Sangue di Cristo, ascoltami, ti prego,
Roderigo: se avessi sol sognato
che avesse mai a succedere tanto,
avresti pur ragione di schifarmi.
RODERIGO
M’hai detto sempre che l’avevi in odio.
JAGO
E se non è così, sputami in faccia!
Tre grossi calibri della città
si sono scomodati di persona
per andare umilmente a supplicarlo,
e facendogli tanto di cappello,
che mi facesse suo luogotenente;
e io so quanto valgo, in fede d’uomo,
e che non merito meno di tanto.
Ma, compreso com’è dalla sua boria
e da chissà quali secondi fini,
egli sfugge abilmente alla richiesta
con ampollosi giri di parole
imbottiti di termini guerreschi;
e insomma, rende non luogo a procedere
le suppliche dei miei patrocinanti.
“Il mio secondo - dice - l’ho già scelto”
E chi è costui?... Un insigne contabile,
tale Michele Cassio, fiorentino,
uno che si baratterebbe l’anima
per correr dietro ad una bella moglie;
uno che non ha mai schierato in campo
una manciata d’uomini,
e sa studiare un piano di battaglia
non più di quanto sappia una zitella.
Conosce le teorie scritte nei libri
su cui sa dissertare come lui
un qualunque togato consigliere:
tutte parole, ma nessuna pratica.
È tutta qui la sua perizia bellica;
e intanto, caro mio, è lui il prescelto.
Ed io, che il Moro ha visto coi suoi occhi
alla prova dell’armi a Rodi, a Cipro,
e in altre terre cristiane e pagane,
debbo star sottovento ed in bonaccia
agli ordini d’un vile conta-soldi,
d’un libro mastro del dare e l’avere.
Lui senz’arte né parte,
dev’esser fatto suo luogotenente,
e il sottoscritto, che Dio ci abbia in gloria,
resta l’alfiere di Sua Negreria.
RODERIGO
Il boia che gli metta il cappio al collo
avrei voluto essere, piuttosto!
JAGO
Mah, che voi farci, ormai non c’è rimedio.
È la maledizione del servizio:
la promozione si fa per scartoffie,
per simpatia, non già, come una volta,
per un criterio di gradualità
onde il secondo succedeva al primo.
Perciò, mio caro, giudica da te
se esista un ragionevole motivo
ch’io mi possa sentir legato al Moro.
RODERIGO
Se fossi in te, non lo seguirei più.
JAGO
Ah, se mi curo ancora di seguirlo,
puoi star sicuro, è solo per rivalsa.
Tutti non si può essere padroni;
ma non è manco detto che i padroni
si debbano seguire fedelmente.
Li avrai visti anche tu certi bricconi
leccapiedi dalle ginocchia a uncino,
fanatici di fare ognora mostra
del lor cerimonioso servilismo,
che vivon consumando tutto il tempo
a fare gli asini dei lor padroni
per una brancatella di foraggio,
e, appena vecchi, sono licenziati.
Questi onesti babbei, per conto mio,
si meritano solo le frustate.
Ce n’è però di tutta un’altra tacca,
che, azzimati e attillati,
il volto sempre atteggiato all’ossequio,
son bravissimi a farsi i fatti loro;
essi, sbattendo in faccia ai lor padroni
solo la mostra dei loro servigi,
si fanno prosperi alle loro spalle;
e, quando si son bene impannucciati,
badano solo ad ossequiar se stessi.
Quelli sì che son gente di carattere;
ed io mi sento d’essere dei loro:
ché, com’è vero che sei Roderigo,
così è sicuro che s’io fossi il Moro,
non vorrei esser Jago.
A seguir lui, seguo solo me stesso;
e lo faccio - mi sia giudice il Cielo -
non certo per amore o per dovere,
anche se all’apparenza sia così,
ma per mio tornaconto personale;
ché se l’esterno mio comportamento
dovesse rivelar gli interni moti
e la vera natura del mio animo,
non passerebbe molto, t’assicuro,
che porterei cucito sulla manica
il cuore, a farmelo beccar dai corvi.
Io non son dentro quel che sembro fuori.
lunedì 4 gennaio 2010
Morning at the window
They are rattling breakfast plates in basement kitchens,
And along the trampled edges of the streetI am aware of the damp souls of housemaids
Sprouting despondently at area gates.
The brown waves of fog toss up to me
Twisted faces from the bottom of the street,
And tear from a passer-by with muddy skirts
An aimless smile that hovers in the air
And vanishes along the level of the roofs.
Mattino alla finestra
Sbattono piatti da colazione nelle cucine del seminterrato,
E lungo i marciapiedi che risuonano di passi
Scorgo anime umide di donne di servizio
Sbucare sconsolate dai cancelli che danno sulla strada.
Ondate brune di nebbia levano contro di me
Volti contorti dal fondo della strada,
Strappano a una passante con la gonna inzaccherata
Un vacuo sorriso che s'alza leggero nell'aria
E lungo il filo dei tetti svanisce
(Morning at the Window, T.S. Eliot)
And along the trampled edges of the streetI am aware of the damp souls of housemaids
Sprouting despondently at area gates.
The brown waves of fog toss up to me
Twisted faces from the bottom of the street,
And tear from a passer-by with muddy skirts
An aimless smile that hovers in the air
And vanishes along the level of the roofs.
Mattino alla finestra
Sbattono piatti da colazione nelle cucine del seminterrato,
E lungo i marciapiedi che risuonano di passi
Scorgo anime umide di donne di servizio
Sbucare sconsolate dai cancelli che danno sulla strada.
Ondate brune di nebbia levano contro di me
Volti contorti dal fondo della strada,
Strappano a una passante con la gonna inzaccherata
Un vacuo sorriso che s'alza leggero nell'aria
E lungo il filo dei tetti svanisce
(Morning at the Window, T.S. Eliot)
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