WILLIAM SHAKESPEARE
OTELLO
ATTO PRIMO
SCENA I
Venezia, una strada. Notte.
Entrano JAGO e RODERIGO
RODERIGO
Non dirmelo. L’ho assai per male, Jago,
che tu, ch’hai sempre avuto la mia borsa
a tua disposizione, come tua,
sapevi questo, e me l’hai sottaciuto.
JAGO
Sangue di Cristo, ascoltami, ti prego,
Roderigo: se avessi sol sognato
che avesse mai a succedere tanto,
avresti pur ragione di schifarmi.
RODERIGO
M’hai detto sempre che l’avevi in odio.
JAGO
E se non è così, sputami in faccia!
Tre grossi calibri della città
si sono scomodati di persona
per andare umilmente a supplicarlo,
e facendogli tanto di cappello,
che mi facesse suo luogotenente;
e io so quanto valgo, in fede d’uomo,
e che non merito meno di tanto.
Ma, compreso com’è dalla sua boria
e da chissà quali secondi fini,
egli sfugge abilmente alla richiesta
con ampollosi giri di parole
imbottiti di termini guerreschi;
e insomma, rende non luogo a procedere
le suppliche dei miei patrocinanti.
“Il mio secondo - dice - l’ho già scelto”
E chi è costui?... Un insigne contabile,
tale Michele Cassio, fiorentino,
uno che si baratterebbe l’anima
per correr dietro ad una bella moglie;
uno che non ha mai schierato in campo
una manciata d’uomini,
e sa studiare un piano di battaglia
non più di quanto sappia una zitella.
Conosce le teorie scritte nei libri
su cui sa dissertare come lui
un qualunque togato consigliere:
tutte parole, ma nessuna pratica.
È tutta qui la sua perizia bellica;
e intanto, caro mio, è lui il prescelto.
Ed io, che il Moro ha visto coi suoi occhi
alla prova dell’armi a Rodi, a Cipro,
e in altre terre cristiane e pagane,
debbo star sottovento ed in bonaccia
agli ordini d’un vile conta-soldi,
d’un libro mastro del dare e l’avere.
Lui senz’arte né parte,
dev’esser fatto suo luogotenente,
e il sottoscritto, che Dio ci abbia in gloria,
resta l’alfiere di Sua Negreria.
RODERIGO
Il boia che gli metta il cappio al collo
avrei voluto essere, piuttosto!
JAGO
Mah, che voi farci, ormai non c’è rimedio.
È la maledizione del servizio:
la promozione si fa per scartoffie,
per simpatia, non già, come una volta,
per un criterio di gradualità
onde il secondo succedeva al primo.
Perciò, mio caro, giudica da te
se esista un ragionevole motivo
ch’io mi possa sentir legato al Moro.
RODERIGO
Se fossi in te, non lo seguirei più.
JAGO
Ah, se mi curo ancora di seguirlo,
puoi star sicuro, è solo per rivalsa.
Tutti non si può essere padroni;
ma non è manco detto che i padroni
si debbano seguire fedelmente.
Li avrai visti anche tu certi bricconi
leccapiedi dalle ginocchia a uncino,
fanatici di fare ognora mostra
del lor cerimonioso servilismo,
che vivon consumando tutto il tempo
a fare gli asini dei lor padroni
per una brancatella di foraggio,
e, appena vecchi, sono licenziati.
Questi onesti babbei, per conto mio,
si meritano solo le frustate.
Ce n’è però di tutta un’altra tacca,
che, azzimati e attillati,
il volto sempre atteggiato all’ossequio,
son bravissimi a farsi i fatti loro;
essi, sbattendo in faccia ai lor padroni
solo la mostra dei loro servigi,
si fanno prosperi alle loro spalle;
e, quando si son bene impannucciati,
badano solo ad ossequiar se stessi.
Quelli sì che son gente di carattere;
ed io mi sento d’essere dei loro:
ché, com’è vero che sei Roderigo,
così è sicuro che s’io fossi il Moro,
non vorrei esser Jago.
A seguir lui, seguo solo me stesso;
e lo faccio - mi sia giudice il Cielo -
non certo per amore o per dovere,
anche se all’apparenza sia così,
ma per mio tornaconto personale;
ché se l’esterno mio comportamento
dovesse rivelar gli interni moti
e la vera natura del mio animo,
non passerebbe molto, t’assicuro,
che porterei cucito sulla manica
il cuore, a farmelo beccar dai corvi.
Io non son dentro quel che sembro fuori.
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