(...) io sedevo (e sedevo solo, così almeno credevo) in un angolo remoto della biblioteca, allorchè alzando gli occhi mi accorsi che Berenice mi stava di fronte. Era frutto della mia immaginazione eccitata, o della influenza nebbiosa dell'atmosfera,o del crepuscolo incerto della stanza, o erano forse i grigi panneggi che cadevano in pieghe attorno alla sua figura, che provocavano in questa un aspetto così vacillante e vago? Non saprei dire. Ella non proferiva parola, e io... neppure con uno sforzo sovrumano sarei riuscito a pronunciare una sola sillaba. Un brivido di ghiaccio mi corse per le ossa; mi sentii oppresso da una sensazione d'insopportabile angoscia; una curiosità divorante mi pervase l'anima, e ricadendo all'indietro sulla sedia rimasi per qualche tempo immobile e senza fiato,gli occhi fissi sulla sua persona.
Ahimè! La sua emaciatezza era estrema, e in tutto il suo aspetto non vi era più neppure una lontana traccia dell'antica creatura. Alla fine il mio sguardo bruciante si posò sul suo viso. La fronte era alta, pallidissima, stranamente serena; e i capelli un tempo color del giaietto ricadevano parzialmente su di essa adombrando le tempie cave d'innumerevoli riccioli ora di un giallo vivo e sgradevolmente discordanti nel loro fantastico aspetto con la malinconia predominante nelle sembianze di lei. Gli occhi erano senza vita, opachi,apparentemente privi di pupille, e io mi ritrassi involontariamente dalla loro vitrea fissità per contemplare le labbra sottili, affilate. Queste si aprirono, e in un sorriso di particolare significato i denti della mutata Berenice si dischiusero lentamente ai miei occhi. Volesse il cielo che io mai li avessi veduti, o che dopo quell'attimo in cui io li vidi fossi morto!
Il rinchiudersi di una porta mi disturbò, e allorchè alzai lo sguardo mi accorsi che mia cugina era uscita dalla stanza. Ma dai recessi del mio cervello alterato non era, ahimè, uscito, nè mai ne sarebbe stato scacciato, il bianco, terrificante spectrum dei denti. Non una macchiolina sulla loro superficie, non un'ombra sul loro smalto, non un'intaccatura nei loro orli; ma che cosa quell'attimo del suo sorriso non era bastato a imprimere nella mia memoria! Io ora li vedevo con minore possibilità di equivoco di quanto li avevo veduti allora. I denti! I denti! Essi erano qui, e lì, e dovunque, e visibili e palpabili dinanzi a me; lunghi, stretti, innaturalmente bianchi, con le pallide labbra arricciantisi su di essi, come nel momento stesso del loro primo spaventoso sviluppo.
da Berenice, Edgar A. Poe
Nessun commento:
Posta un commento