giovedì 15 maggio 2008

L'Angelo di Cocteau

Usciva da una bottiglia
ancora addormentato
veloce stava seduto
le ali aperte come un foglio
bianco e gli occhi
due piatti di genziane
serviti a sentire
tutto il nostro male.
Giovane eterno vagito
universale sul legno inchiodato
di un palco travestito
la sera della commedia:
le assi levigate di mille e mille versi
i passi di note tragiche e indiavolate
a stendersi
lenzuola d’inchiostro blu
messe ad asciugare al sole
e laggiù l’invisibile adolescente
terribile animale di razza
- ho anch’io il mio tesoro nascosto
nella neve lontana
e la finestra illuminata oltre la tenda
che l’angelo trapassa
sorride e affonda
le dita al petto del poeta oppiomane
- muta melodia mortale -
irradiata dal centro
cometa in una bara sigillata
e non di vetro.
Usciva da un cimitero di lune e manicomi
attento a non far rumore
colore acceso dalla pioggia
su campi e corpi di guerrieri
- le ali dure come lame
di baionette perse accanto al fiume.
Ho le ali intrise di veleno
nero marino oceano viscido
nelle stagnanti accademie
di lettere & dollari
decani malati scrivono
perfetti falsi d’autore: la Musa Sorda
non ricorda le parole.


Esce ancora l’angelo bambino nella stanza
che inghiotte caramelle e fiele
e giochi d’incompiuti fantasmi nucleari
rinati e spenti nella memoria d’un giorno.
Piramide che cerca la sua stella
sul fondo di clessidra
nel caos primordiale
di uno status metropolitano incauto
- incauto assorbimento di sperma e aspirina -
trovo nella mano i nostri segni
cuciti alla fine
tra immagini e linee
palpebre aperte per un po’ di luce.

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